Donne, scacciate l’amico bello

Il dilemma cominciò a tormentare i primi Padri della Chiesa, se non già San Paolo: l’obbligo di riconoscere la donna come uguale all’uomo (non c’è giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina…) si scontrava con quel maledetto passo della Genesi, per cui Giovanni Crisostomo diceva che “la donna insegnò una volta sola, e rovinò tutto”, e con quella “maggior commistione dello spirito con la carne” che si riconosceva nella femmina. Fu una storia tragica e grottesca, in cui le tradizioni e le istituzioni sociali soprattutto dei barbari si assommarono a quelle religiose del giudaismo e all’aria di seduzione molle e insidiosa che spirava dall’Oriente. La sociologia ecclesiastica, e dunque la sociologia dominante nell’Europa me-, dievale, si muove tutta suquesta linea per stendere intorno all’uomo, col recinto donne, un’area di autonomia, un cordone sanitario che gli garantisca non solo il suo predominio fisico, ma anche la sua integrità e il monopolio culturale della vita. Strumento e specchio di questa realtà plurisecolare, i trattati morali e, più diretto, più vigoroso, la predicazione. Non occorre scendere a Bernardino da Siena o a Gerolamo Savonarola. Nella precettistica delle più smorte prediche della Scolastica si delinea tutta una comportamentistica femminile inculcata col terrore o con la calma razionalistica, appoggiata sui sacri testi e su una sorta di buon senso.

I passi adunati da Carla Casagrande in un volume della Nuova Corona di Bompiani ce ne danno l’essenziale attraverso due maestri francesi della predicazione duecentesca, il domenicano Umberto da Romans e il francescano Gilberto da Tournai. Vizi, virtù, motivazioni, pennellate in un quadro scattante della vita, sono altrettante frecce verso un bersaglio ossessivamente mirato, come a colpire, a distruggere la dicotomia che si diceva, la distrazione fra desiderio e repulsione ch’è alla base di ogni misoginismo o semplicemente di quasi tutte le riflessioni maschili di tipo religioso, e spesso anche solo etico. dell’Europa moderna fino ai giorni a noi più vicini. In queste voci perentorie del pulpito la casistica si svolge completa, con una regolarità strutturale che non lascia vuoti e non ammette sbandamenti, oscillazioni. Spose, vedove, vergini; nobili, borghesi, campagnole: per le une c’è il lusso e la sua ostentazione, l’eccesso di belletto e di gioielli, l’avarizia, l’invidia, il sortilegio; per le altre i pericoli’ della solitudine, della fantasia, della povertà stessa. La donna è incline alla maldicenza, alla vanità, alla lussuria, all’ebbrezza, alla falsità, al furto. Sarà bene che stia sempre in casa e non vi ammetta «giovani ben pettinati, eleganti, lascivi; scacci il musico come essere nocivo, la corte delle suonatrici e delle cantanti, l’amministratore dai capelli arricciati, l’amico bello, l’accompagnatore della donna e quello rubicondo»; meglio si astenga dal cibarsi di carne, se non è sposata e dedita alla generazione dei figli; non s’intrometta negli affari del marito; poca mobilia, nessuna eleganza, niente canzonette. Pensieri solo per Dio. da sognare di notte solo lui. Donne belle non ce ne sono, sono i nostri occhi a crearle: «Se avessimo occhi capaci di vedere oltre le pareti della carne, vedremmo gli intestini delle donne pieni di sterco e di feci, i polmoni, la vescica e altre cose abominevoli».

Con questa precettistica, ci aspettavamo qualcosa di più dagli exempla di Stefano di Borbone, altro domenicano duecentesco autore di un Trattato sulle diverse materie predicabili, che si trovano in fondo a questo volume, un po’ complicato nelle sue parti e ripetitivo nei suoi apparati. Vi abbiamo colto solo la saporosa vendetta di un giullare che affoga la moglie ribelle approfittando della sua abitudine a contrariarlo sempre; e sull ‘al-1| tro versante l’incantato quadretto della donna caritatevole che, davanti a un povero incontrato sulla soglia della chiesa, «non avendo, pena il suo disonore, niente da dargli se non l’indumento di pelle che portava sotto ì vestiti», si spoglia: e nel frattempo il celebrante all’altare non riesce a pronunciare una sola parola della funzione, per volere di Dio. perché non la perdesse questa dama «che non voleva né perdere la messa né ritardare a dare l’elemosina a un povero». Ci sarà pur stata in un angolo del mondo questa donna gentile che valeva una messa, e un cuore d’uomo capace anche d’amarla.

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